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Trasporti nel futuro. Scenari possibili, impossibili, quasi possibili

martedì, ottobre 28th, 2008

Gli scenari che i trasporti contribuiscono a formare nella società e nella organizzazione dello spazio costituiscono il tema di questo Futuribili . Si tratta di un argomento estremamente importante, poiché nella vita quotidiana tutto è mobilità, e la mobilità permessa dai mezzi di trasporto rappresenta il locale allargato allo spazio urbano e metropolitano in cui sono contenute le molte comunità vissute dall’individuo e le corrispondenti pluri-appartenenze.

Ne emerge un conseguente bisogno di mobilità, che adesso viene percepito come diritto alla mobilità. E, se si tratta di diritto, allora è chiaro che esso dev’essere assicurato a tutti, e in maniera soddisfacente. Perciò, tale diritto diventa anche un problema di qualità della vita per l’intera collettività e un problema di giustizia sociale per i gruppi e gli individui che la compongono.

FONTI

www.francoangeli.it/ricerca/Scheda_Libro.asp?ID=7734&Tipo=Libro

Elogio della bicicletta, Ivan Illich, Bollati Boringheri, 2006

martedì, ottobre 28th, 2008

La bicicletta richiede poco spazio. Se ne possono parcheggiare 18 al posto di un’auto, se ne possono spostare 30 nello spazio divorato da un’unica vettura. Per portare quarantamila persone al di là di un ponte in un’ora, ci vogliono 12 corsie se si ricorre alle automobili e solo 2 se le quarantamila persone vanno pedalando in bicicletta..

Un piccolo saggio di Ivan Illich con riflessioni sui concetti di trasporto e transito, ostruzione del traffico, velocità che propone differenti scenari di mobilità nella società globale

La sua analisi individua tre modelli di mobilità nell’odierno scenario globale: società sottoattrezzate, che cioè non garantiscono il diritto all’automobilità dei cittadini nemmeno alla velocità della bicicletta; società sovraindustrializzate dove vige il dominio dell’industria del trasporto; ma tertium datur: “c’è posto per il mondo dell’efficacia post-industriale [...] per un mondo di maturità tecnologica”, che cioè vada verso la duplice liberazione dall’opulenza e dalla carenza, che sposti l’asse dal trasporto al transito, dal monopolio alla libertà, che operi una “ristrutturazione sociale dello spazio che faccia continuamente sentire a ognuno che il centro del mondo è proprio lì dove egli sta, cammina e vive”.

LA CONTRADDIZIONE DELLA MELA

lunedì, ottobre 20th, 2008

La contraddizione della mela
ANTICIPAZIONE Metà mondo è obeso, metà è alla fame. C’è un meccanismo impazzito alla base del sistema alimentare

Al giorno d’oggi produciamo più cibo di quanto sia mai accaduto nella storia dell’umanità, eppure più di una persona su dieci sulla Terra ha fame. L’inedia di 800 milioni coincide con un altro primato nella storia: gli affamati sono sopravanzati dal miliardo di abitanti sovrappeso del pianeta. La fame e l’obesità globali sono sintomi dello stesso problema, anzi, una strategia in grado di sradicare la fame nel mondo darebbe anche la possibilità di sradicare le epidemie globali di diabete e malattie cardiache, eliminando in un colpo solo molti problemi ambientali e sociali. La popolazione sovrappeso e quella affamata sono strettamente collegate attraverso le catene di montaggio che portano il cibo dai campi alle nostre tavole. Le multinazionali che ci vendono il cibo, interessate esclusivamente al profitto, influenzano e impongono il modo in cui mangiamo e in cui pensiamo al cibo. (…) Persino quando vogliamo comprare cibo sano, siamo prigionieri del medesimo sistema che ha creato le nostre “fast food nation”. Provate, per esempio, a comprare delle mele. Nei supermercati nordamericani ed europei la scelta è ristretta a una decina di varietà: Fuji, Braeburn, Granny Smith, Golden Delicious e poche altre tipologie. Perché? Perché hanno un bell’aspetto, ma anche perché reggono il trasporto su lunghe distanze, (…) sopportano senza problemi le tecniche di lucidatura e i prodotti che rendono possibile il trasporto e danno loro quel bell’aspetto sugli scaffali. Sono facili da raccogliere. Rispondono bene ai pesticidi e alla produzione industriale. (…) Gli interessi delle aziende alimentari hanno ramificazioni che vanno molto al di là di quanto compare sugli scaffali del supermarket, e sono il verme nella mela del sistema alimentare moderno. Per dimostrare la capacità sistemica dei pochi di influenzare la salute dei molti è quindi necessaria un’indagine globale, un viaggio che vada dai “deserti verdi” del Brasile fino alla topografia della città moderna, affiancata da una storia che parta dall’era dei primi addomesticamenti di piante per arrivare alla Battaglia di Seattle. Si tratta di un’indagine che scoprirà le vere cause della carestia in Asia e in Africa, dell’epidemia mondiale di suicidi tra gli agricoltori, che svelerà perché non sappiamo più cosa contiene quello che mangiamo, perché i neri negli Stati Uniti saranno più facilmente sovrappeso dei bianchi (…) e spiegherà come il massimo movimento sociale al mondo stia inventando tanti modi di farci pensare al cibo, e vivere con esso, in maniera diversa. (…) L’alternativa al rimpinzarci come facciamo oggi promette di risolvere il problema della fame e delle malattie associate all’alimentazione proponendo una maniera di nutrirsi, coltivare e allevare sostenibile dal punto di vista ambientale e socialmente equa. Se capiamo in cosa è sbagliato il modo in cui viene prodotto e mangiato il nostro cibo avremo anche la chiave per una maggiore libertà e per riappropriarci del gusto dell’alimentazione. È un compito tanto urgente quanto grossa è la ricompensa. In tutti i Paesi le realtà contraddittorie dell’obesità, della fame, della povertà e del benessere si stanno acutizzando. (…) La storia della produzione degli alimenti che quasi tutti noi accettiamo, somiglia soprattutto alle fiabe e ai programmi tv per bambini. Le storielle che ci raccontiamo sulle fattorie imbavagliano con un calzino in bocca i poveri delle campagne in tutto il mondo. Quando la provenienza del cibo è ridotta a una sola riga sull’etichetta, ci sono tante cose che non capiamo, che nemmeno pensiamo di dover chiedere. Chi è, per esempio, il vero protagonista della nostra favola bucolica del cibo? Il contadino? Che razza di vita conduce? Che cosa si può permettere di mangiare? Se soltanto ci scomodassimo a chiederlo verremmo a sapere che la maggior parte dei contadini del mondo sta soffrendo. Alcuni vendono le loro terre per diventare braccianti nei loro stessi campi. Alcuni migrano in città, od oltreoceano. Altri, troppi, scelgono di suicidarsi. (…) Man mano che la serie di scelte degli agricoltori è minimizzata, gli altri (i potentati, le multinazionali, i governi) espandono il proprio impero di opzioni. (…) Però, il sistema alimentare non abusa soltanto dei contadini. Anche i consumatori sono vittime del potere mercantile delle multinazionali. Ovviamente, in quanto consumatori la nostra posizione è un po’ diversa, possiamo influenzare il mercato, anche se limitatamente, portando altrove il nostro portafogli. Tuttavia la scelta tra Coca e Pepsi è una libertà pop, è una scelta light. Le comunità organizzate lottano per un tipo più profondo di scelta, e cercano di ripensare le nostre decisioni secondo modalità che vanno dalla creazione di meccanismi distributivi alternativi del cibo per la gente di colore, come la People’s Grocery di Oakland, in California, fino alla battaglia per rivoluzionare il significato del cibo, come quella portata avanti dal movimento Slow Food. In questo momento in tutti i Paesi del mondo ci sono gruppi che tentano di allargare il sistema alimentare per restituire le possibilità di scelta sottratte a chi produce il cibo e a chi lo mangia. Ovviamente nessun gruppo è esente da contraddizioni. (…) Ci sono movimenti che vogliono portare indietro le lancette dell’orologio, disposti a incanalare il malcontento nelle campagne verso lidi conservatori, verso lo sciovinismo e la xenofobia. (…) Nemmeno la storia dei movimenti a favore del “cibo incontaminato” è immacolata. La British Soil Association, per esempio, negli anni Trenta ha fornito consulenze in tema di agricoltura alla British Union of Fascists, essendo entrambi i gruppi paladini della purezza della terra e del sangue. Il sogno ambientalista di un mondo pulito e di un cibo sano, senza contadini o immigrati sui campi, non è soltanto un difetto europeo. Negli Stati Uniti il Sierra Club è stato squassato dalle polemiche sul posto più adatto agli immigrati, se sopra o sotto la terra. Invece questo saggio prenderà in esame le battaglie all’interno del sistema alimentare che hanno optato per una politica internazionalista, con prospettive ampie quanto quelle della globalizzazione d’impresa che combattono, influenzano e soppiantano (…). Nonostante la disperazione che serpeggia nei campi, movimenti del genere esistono e sono collegati grazie al dono dei semi, della cultura e dei successi concreti. Non sono soltanto una “alternativa” presentata alla fine di una litania di disastri. Sono il memento costante, onnipresente, che si possono fare e inventare delle scelte . Non esiste solamente la possibilità di riportare indietro le lancette dell’orologio, ma anche il sogno di immaginare qualcosa di nuovo. Ma ci arriveremo soltanto dopo avere dato un’occhiata spassionata a come siamo messi adesso ed esserci chiesti cosa è andato per il verso sbagliato.

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Esperto di politiche alimentari mondiali, Raj Patel ha lavorato per la Banca Mondiale e la Wto. Oggi è docente alla University of KwaZulu-Natal in Sudafrica e si impegna in campagne internazionali contro queste stesse organizzazioni.
Il suo nuovo libro, I Padroni del cibo (Feltrinelli), è appunto un’indagine approfondita e appassionante che svela i retroscena della guerra in corso per il controllo delle risorse alimentari.

Fonte: D Repubblica | 11 ottobre | p.149